lunedì 28 maggio 2012

Progressisti, di buon senso

Sbraitano di democrazia contro capitalismo, democrazia diretta, partecipata, partecipativa e elettronica, la liretta meglio degli "euri", e fermiamoci qua, per grazia di Dio. 

Sicuro non capiscono una mazza. Non sono politologi, ergo non afferrano la robaccia della democrazia diretta. Non sono economisti, allora non possono sapere manco cosa sia la moneta, non l'euro, ma la moneta tout court. Detto celermente:  sono duri di comprendonio, e non potrebbe essere altrimenti facendo altro nella vita, non i professoroni. Ciononostante insistono: democrazia diretta e varianti bla bla bla, anticapitalismo e beni comuni, addirittura socialismo, magari anarchico o corporativo.

I nonni dicevano, e dicono ancora oggi se non sono andati dritti al camposanto, "non lasciare la via vecchia per la nuova, sai quel che perdi ma non quel che trovi". Hanno proferito un cumulo di boiate, le buonanime, e altrimenti non cammineremmo in un mondezzaio civile. Ma una, di cui sopra, l'hanno imbroccata.  Spiegato altrimenti: se l'obiettivo è l'interesse generale, espressione che tecnicamente è un non-sense ma ci siamo capiti, dunque, se l'interesse collettivo è il fine, la ragionevolezza esige la difesa dell'esistente. Date le alternative, lo status quo con le sue storture e i salti nel vuoto con non si sa che cosa, deve esserci la salvaguardia dell'esistente. 

E, allora, che ci resta, solo l'ordine costituito? Effettivamente, e lo diceva Ed Miliband in occasione dell'incoronazione alla segreteria del Partito Laburista, i progressisti sono gli "ottimisti della storia". D'altro canto è vero che il pessimismo è nemico del progresso, è intrinsecamente conservatore. Ma spregiare la fede nel cambiamento vuole significare solo, e nient'altro, battere la strada non battuta ma conoscibile e conosciuta. Procedere, magari, a piccoli passi ma sempre sicuri, un progressismo di buon senso. 



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