domenica 1 settembre 2013

Un sindaco di sinistra?

"Il candidato di George Soros è un uomo con chiaro nome italiano e sicure opinioni di sinistra". 

"Il suo maestro di vita è stato un vecchio italiano sbarcato ad Ellis Island negli anni Venti. Gestiva un negozio d’abbigliamento. L’accento era quasi incomprensibile, in fondo “ha impiegato solo 70 anni per sentirsi a suo agio con l’inglese”. Veniva da un paesino del beneventano, Sant’Agata de’ Goti, ed era suo nonno".

http://www.thepostinternazionale.it/mondo/stati-uniti/un-sindaco-di-sinistra

mercoledì 29 maggio 2013

Al sindaco piace il crack


Lo trovate sul Post Internazionale: 


Un sindaco conosciuto per i commenti omofobi e razzisti, la rivendicata clownerie, l’alcolismo traboccante, pescato in un video realizzato da spacciatori di origine somala mentre presumibilmente fuma crack. Un fratello, che ne è portavoce di fatto, membro del locale Consiglio comunale e aspirante deputato provinciale, supposto spacciatore di medio livello negli anni Ottanta. Un altro fratello, oggi impegnato nel ricco business di famiglia, dedito trent’anni fa al traffico di hashish e incriminato nel 1986 in relazione ad un rapimento. Infine una sorella, già assidua frequentatrice dei circoli del suprematismo bianco, più volte legata a trafficanti di ogni risma, che l’hanno pure premiata con un colpo di pistola in faccia.


La storia non è la trama di un B-movie. Viene direttamente da Toronto, capitale economica del Canada. Il protagonista è Rob Ford, sindaco conservatore della città eletto nel 2010 grazie ai modi popolani e a una piattaforma di riduzione delle spesa pubblica, abbattimento dei costi della politica e maggiore sicurezza nella strade. È figlio di Doug Ford sr., defunto membro dell’Assemblea legislativa dell’Ontario alla fine degli anni Novanta e fondatore della Deco Labels&Tags, tuttora ricca attività di famiglia che fattura circa cento milioni di dollari annui e conta impianti e punti vendita in Canada e Stati Uniti.


Sin dalla fine degli anni Novanta, periodo cui risale l’approdo alla politica, il contegno rustico ha garantito a Rob Ford i titoli delle principali testate nazionali. Il Toronto Star ha recentemente stilato un elenco dei “42 momenti eccezionali” del sindaco: si va dai commenti razzisti rivolti ad un consigliere italo-canadese- un “Gino boy”- alla conclamata antipatia per i ciclisti- “sono responsabili delle loro morti sulle strade”; per passare ai palpeggiamenti generosamente e pubblicamente elargiti nel 2010 ad un altro candidato sindaco o al pensiero fisso del football, tanto da saltare impegni di governo per allenare una formazione delle scuole superiori. Il suo stesso staff è imbottito di ex-giocatori o dirigenti della squadra che lo impegna.


Solo recentemente il salto di qualità sulla stampa internazionale. Già alla fine di Febbraio, in un gala promosso per celebrare le forze armate canadesi, Ford si era presentato sbronzo. Ennesimo episodio di ubriachezza molesta che ha indotto alcuni consiglieri a suggerire trattamenti di disintossicazione. All’inizio di Maggio, giornalisti del Toronto Star e di Gawker.com hanno esaminato un video in cui il sindaco, palesemente poco lucido, aspira crack. In una foto distribuita per volontà di spacciatori somali asseriti autori del nastro, Ford appare in compagnia di tre uomini, uno dei quali recentemente assassinato. E l’episodio sarebbe associato allo stesso filmato, secondo fonti interne all’amministrazione citate dal Globe and Mail.


Gli altri membri della famiglia non si sono comunque distinti negli anni per probità. I dettagli sono in un’inchiesta di 18 mesi targata Globe and Mail. Doug Ford jr. è consigliere municipale di Toronto dal 2010, uomo forte dell’amministrazione del fratello, fino a diventarne portavoce ufficioso. Negli anni Ottanta si è dedicato ad altro. Membro dei “RY Drifters”, è stato identificato da più fonti come rifornitore di hashish per pusher, ruolo che avrebbe ricoperto per sette anni, fino al 1986, quando aveva 22 anni  


Il fratello Randy ha ricoperto la stessa posizione ma attività autonoma. Doug jr. lo considerava troppo instabile. Probabilmente per questo è finito sotto processo nel 1986. Insoddisfatto dei ritardi nei pagamenti di un piccolo venditore di strada assieme ai soci ha messo in atto un rapimento a scopo estorsivo.

Le relazioni sentimentali di Kathy Ford, la più anziana sorella del sindaco, hanno fatto la gioia di numerosi giornali. Un amante è stato assassinato dall’allora ex-marito, un tossicodipendente. Un fidanzato di lunga data, pregiudicato per commercio di cocaina e hashish, ha minacciato di morte Rob e nel 2005 è stato accusato di averle sparato in volto. Successivamente l’imputazione è stata fatta cadere. Negli anni Ottanta Kathy ha assiduamente frequentato un gruppo di suprematisti bianchi.

Rob Ford, dopo una settimana di silenzio, ha negato le accuse dei media. Nello show che assieme a Doug jr. conduce via radio ogni domenica, ha derubricato i giornalisti ad “un “mucchio di vermi”.

mercoledì 22 maggio 2013

Pasteggio a zuppa di squalo




Vivo in un sobborgo di Vancouver in cui le insegne dei locali sono spesso in mandarino prima che in inglese. Più del 50 per cento per cento dei residenti ha origine cinese, e sono spesso immigrati recenti, sbarcati per fare moneta, riuniti in enclave etniche. Sono i più conservatori: prima cinesi poi, forse, canadesi.

Mi rimpinzo d’involtini primavera, tofu e seitan a Chinatown, che è nella zona derelitta di Vancouver. È imbottito di ristoranti tradizionali. Potrei alimentarmi di zuppa di serpente. Non che serva molto per scovarne: il 25 per cento di Metro Vancouver è fatto di minoranze visibili, non europei, e i discendenti della Terra di Mezzo sono il secondo gruppo etnico dopo gli indiani.

Normale che in zona si discuta di “finning”, che non è una pratica sessuale per canadesi audaci ma una roba comunque seducente per gli eredi di Mao. I cinesi cool, quelli che hanno monetizzato, ma pure quelli che a stento si arrabattano, bramano la zuppa di  pinne di squalo. 100 dollari a portata. Lo status si fa a tavola, ai matrimoni, a cena, il Suv non basta. Il “finning” è la sorgente della lordura, un pot pourri cui le pinne insapori danno consistenza. Lo squalo è spinnato in alto mare, rigettato agonizzante in acqua- sia essa di Spagna, Indonesia o Taiwan. Questo è il finning che foraggia la zuppa, e i ristoratori. Caricare lo squalo, intero, su barcacce e bastimenti non è profittevole: la carne di squalo si traffica poco. Ma occupa spazio.

I canadesi si sono turbati una volta appreso lo scempio, che copiosamente alimentano. Non risulta comunque apprensione particolare per polli stipati in batteria e simili. I conservatori al governo federale – l’anno scorso uno di loro si è fatto ritrarre da televisioni e giornali in lingua cinese ad ingurgitare la zuppa- hanno proposto di vietare l’importazione di pinne di squalo  da Paesi ove gli animali sono pescati con metodi crudeli. Vanno bene le pinne-  il Canada importa 100 tonnellate ogni anno- ma con esecuzione umana: che si portino a riva comprensivi di accessorio, la pinna. Gentilmente, se possibile.

Certo, come anche si è fatto notare in Parlamento da chi propone un bando totale, non si capisce come si possa combattere la graduale estinzione di specie di squali con questa modalità- ogni anno cento milioni di individui sono uccisi, con un trend crescente sostenuto dalla zuppa.  E probabilmente non si martella il finning, visto che la cattura illegale in taluni Paesi sarebbe la regola. Ma, tant’è, meglio andarci con i piedi di piombo. La comunità cinese vota conservatore . E non importa che il 77 per cento di quella sia contraria all’import della pinna. Ci sono comunque i ristoratori e qualche baluba con gusto retrò.

martedì 23 aprile 2013

La mecca della ganja





"La mecca della ganja" lo trovate su Lettera 43:

È conosciuta come l’“Amsterdam del Nord America”, il paese della cuccagna per  gli innamorati della ganja. Oppure “Vansterdam”, secondo lo slang locale. Che sia l’una o l’altra denominazione, di certo Vancouver spande generosamente i profumi della cannabis.

Il 4/20 è il suo trionfo. Dal 1995, il 20 aprile di ogni anno, e per l’intera giornata, fino a 20 mila supporter si riuniscono per celebrare il rito dell’erba. Accorrono in centro, quest’anno davanti all’Art Gallery. Decine di tavolate smerciano marijuana e hascisc, in tutte le qualità: Nepal Temple Balls, Black Bombay, Shunk, White Widow, ecc. È l’unico mercato all’aperto per produttori di cannabis in tutto il mondo occidentale. Nell’aria si sente una fragranza densa.  Il momento clou sarebbe alle 4.20, l’ “ora del fumo”. Ma s’inspira non-stop, da mezzogiorno alle otto.

4/20, nome che deriva dalla consuetudine di ragazzini californiani degli anni Settanta di fumare erba alle 4.20 di ogni giorno, è la più grande manifestazione di protesta di Vancouver. Dal palco si susseguono attivisti che invocano la depenalizzazione e legalizzazione delle droghe leggere. “A causa di una legge che criminalizza anche i piccoli consumatori- dice uno di loro- in British Columbia (la provincia canadese che ospita Vancouver, ndr) il numero delle imputazioni a carico dei possessori di cannabis è raddoppiato tra il 2005 e il 2011, ingolfando il sistema giudiziario e sottraendo risorse alla polizia. Si acquista erba per un valore di circa mezzo miliardo di dollari: con la legalizzazione e la tassazione si potrebbe finanziare abbondantemente il sistema sanitario”.

La mecca della foglia verde nasce in effetti in un’ area legale grigia. La legge federale, il Controlled Drugs and Substances Act, vieta del tutto possesso, produzione e commercio di marijuana per fini ricreativi. Possono consumarne e produrne per uso personale, a partire dal 2001, solo malati cronici e terminali espressamente esentati dal servizio sanitario: oggi sono circa cinquantamila in tutto il Canada. D’altro canto polizia e giudici, anzitutto in British Columbia, si rifiutano di perseguire piccoli coltivatori, fumatori della domenica e quanti, ad esempio i “club della compassione”, riforniscono soggetti dispensati al di fuori degli schemi rigidi previsti dalle norme.


I cittadini in fondo la vedono allo stesso modo. Un recente sondaggio ha chiarito che circa il 65 per cento dei canadesi è favorevole alla depenalizzazione o legalizzazione delle droghe leggere. Questo dato supera il 70 per cento in British Columbia. Il sindaco in carica di Vancouver Gregor Robertson, forte del sostegno di quattro ex primi cittadini della stessa municipalità, si è schierato per la completa legalizzazione, dichiarando le normative vigenti “inefficaci e, come la proibizione dell’alcol negli Stati Uniti negli anni Venti, tali da comportare conseguenza violente non volute”.


Con questo obiettivo 13 anni fa è nato il BC Marijuana Party, tra i promotori del 4/20. Il quartier generale del partito, che nelle elezioni provinciali del 2001 raccolse quasi il 4 per cento dei voti e oggi sostiene propri candidati nelle liste dei Verdi, è al secondo e terzo piano di una palazzina tra West Hastings e Cambie Street. Non è il consueto luogo per le direzioni politiche. La sala principale è un grande soggiorno adibito a stanza del fumo cui si accede con una donazione simbolica a sostegno del partito. L’aroma della cannabis parte dalle scale. Il motto del partito, ripetuto sui manifesti affissi negli uffici e comune ad altri partiti libertari nel mondo, ne chiarisce la linea: “Ricoprire d’erba il governo”. Come spiega un militante, “bisogna legittimare compiutamente produzione e vendita di prodotti derivanti dalla cannabis, per fini medici e ricreativi. Quanto alle attività ludiche che si svolgono in loco, un commesso chiarisce: “Non vendiamo cannabis, tuttavia le persone possono consumare liberamente hascisc e marijuana”. Sulle sanzioni, “ci affidiamo alla buona volontà delle forze dell’ordine che non sono mai intervenute”.


Il fondatore del partito e tuttora presidente è Marc Emery, il”Principe dell’erba”. Oggi sconta una condanna a cinque anni di carcere nelle prigioni statunitensi per traffico di stupefacenti: ha ceduto via internet semi di cannabis per la cifra complessiva di 15 milioni di dollari, in un arco di tempo che va dal 1995 al 2005. Emery, la cui moglie è candidata nelle prossime elezioni provinciali, è anche l’editore di Pot tv e Cannabis Culture, entrambe domiciliate al 307 di West Hastings. La rivista, pubblicata per la prima volta nel 1995, e la televisione educano gli utenti sui benefici della ganja, sui modi migliori per coltivarla, sulla guerra alla droga in corso e sui benefici delle legalizzazione. Mentre nello store che prende il nome dalla rivista, adornato come la sede del partito da poster in cui si chiede la liberazione di Emery, si cedono pipe, bong e vaporizzatori di ogni risma. Quest’area di Vancouver, che comprende anche il New Amsterdam Cafè  e l’ Herb Museum, è conosciuta come il “Blocco dell’erba”.







sabato 13 aprile 2013

Miseria canadese: il caso Dtes




All’angolo tra Main street ed East Hastings, ora di pranzo, l’Esercito della Salvezza fa il botto. La manica di vagabondi di Vancouver si assiepa come in un formicaio. Il pasto quotidiano per oggi è andato. Duecento metri più sotto, medesimo ghetto per disperati di ogni risma, Downtown Eastside (Dtes), l’accolita di tossici si sbraca sul marciapiede. Quelli ancora puliti prendono la roba che si smercia a cielo aperto e si bucano al caldo, dentro l’unica “shooting room” in nord America, Insite. Ti sfondi nella legalità, con aghi puliti, sotto la supervisione di medici e infermieri del servizio sanitario. Ma solo droghe pesanti, niente quisquilie per favore. Ogni giorno più di 800 visitatori si sparano nelle vene fino a 586 dosi di eroina, morfina, cocaina e mutazioni varie[1].




Downtown Eastside è il centro storico di una delle città più vivibili del mondo, Vancouver[2] . Ai primi del Novecento ha ospitato il municipio, la Carnegie Library, teatri, è stato l’hub dei trasporti. Oggi, dismesso tutto, è il quartiere urbano più povero del Canada, vinto nella classifica assoluta solo da riserve di aborigeni sparse per il Paese[3]. È la casa di senza tetto, malati mentali, tossicodipendenti.




Il 50 per cento dei circa 18 mila residenti vive sotto la soglia di povertà. Il reddito mediano, 13,691 dollari canadesi, è il 30 per cento di quello di tutta Vancouver. 5 mila residenti affittano "Sro", stanze singole, solitamente non autosufficienti, in hotel cascanti, infestati da ratti e scarafaggi. Per il Comune sono “minuscole, sporche e mal gestite”. Il resto vive principalmente in case popolari. Solo il 12 per cento ha una casa di proprietà[4]. I tossicodipendenti cittadini sono 12 mila, un terzo staziona a Dtes[5]; il 27 per cento è affetto da Hiv[6]. Per questo dal 2003, ispirandosi alle stanze del buco europee, hanno aperto Insite:“ridurre il danno”, arrestare le morti da overdose e rallentare la dilagante epidemia di patologie infettive- Hiv, epatite C, sifilide, tubercolosi, tra le altre[7]. Negli anni Novanta i tassi di contrazione dell’Hiv erano i peggiori in tutto il mondo sviluppato, ai livelli del Botswana[8].







Gastown, Oppenheimer, Stratchona e Chinatown sono i distretti in cui Dtes è suddivisa. E' un'onda di relitti umani. Parte da Gastown, la zona “gentrificata”, imborghesita, del quartiere: il Comune ristruttura gli edifici, aprono locali alla moda a cui aggrada la collocazione centrale, un nuovo ceto medio affluisce. Becchi Starbucks e cianfrusaglie per turisti, ristoranti salati e bar con birre artigianali. La fiumana, che defluisce nelle aree più esterne di Stratchona e Chinatown, si prende a Oppenheimer. È Dtes profonda. Lo capisci dai negozi, tutti sbarrati- il quartiere rappresenta il due per cento della popolazione della città, ma il dieci per cento degli omicidi, il 35 per cento delle aggressioni e il 23 per cento delle rapine. Lo percepisci dai tuguri che affittano stanze a quattrocento dollari mensili- la media di Vancouver è almeno il doppio- da cui esce un’umanità spiantata. Lo senti dalla puzza di piscio nelle traverse, dagli emarginati che frugano nei cassonetti, dagli handicappati che delirano. E dalla folla fragorosa di zombie che sotto un porticato spaccia di tutto.




Un tipo liquida una mountain bike a pochi dollari. L’altro traffica lattine di birra di cui ha riempito un carrello per la spesa. Sottovoce, un tale con vesti sdrucite mormora: “Rock. Got Rock”. È il crack, che s’inala a piene mani. Il pusher è un eroinomane. “Ho fatto la mia scelta. Dipendo dall’eroina e morirò per l’eroina”, spiega sbandando. “Scommetto che la prima cosa a cui pensi quando ti alzi la mattina è la colazione. Io mi sveglio e penso all’eroina”. E aggiunge: “Non sono gay, ma ho bisogno di denaro per farmi. Mi arrangio come capita”. Poi torna al suo commercio.

[1] http://supervisedinjection.vch.ca/research/supporting_research/

[2] http://www.huffingtonpost.com/2012/12/04/worlds-most-livable-cities-2012_n_2240299.html

[3] http://blogs.vancouversun.com/2010/02/10/is-vancouvers-downtown-eastside-really-canadas-poorest-postal-code/[

4] http://vancouver.ca/files/cov/profile-dtes-local-area-2012.pdf

[5] http://supervisedinjection.vch.ca/our_location/

[6] http://www.cfenet.ubc.ca/healthcare-resources/about-hiv-aids

[7] http://www.bcmj.org/articles/pain-and-wasting-main-and-hastings-perspective-vancouver-native-health-society-medical-clin

martedì 19 marzo 2013

Canada d'Asia





"Canada d'Asia" lo trovate su Lettera 43:


http://www.lettera43.it/stili-vita/canada-il-boom-degli-arrivi-di-asiatici_4367589215.htm



Qui la sintesi:


La metà dei 200 mila residenti è originario di Cina e zone limitrofe. In certi quartieri si sfonda la soglia dell’'80. La lingua madre di 40 abitanti su cento è il mandarino standard, o il cantonese. In due delle trentotto scuole elementari il 90 per cento dei pupi ha gli occhi a mandorla. Al Consiglio comunale stanno accantonando la proposta d’imporre francese o inglese nelle tabelle delle rivendite made in China.


Siamo a Richmond, ricca periferia di Vancouver. In Canada, ospita la più alta quota di discendenti della Cina storica, quella che comprende Repubblica Popolare, con annesso Hong Kong, e Taiwan.


Il centro commerciale “Aberdeen”, nella zona centrale, illustra fisicamente questo trend. La libreria all’interno ospita solo testi in mandarino. Attorno, spacci di computer, farmacie, beauty center. Tutti hanno la doppia insegna: ideogrammi e inglese. Le ragazze accasciate al bar che smercia cattivo caffè cianciano l’incomprensibile, i tipetti alla moda biascicano il mandarino standard, solo qualche raro avventore spende chiacchiere nella principale lingua nazionale, l’inglese.


Il Canada è il Paese delle “minoranze visibili” e delle enclave etniche. Per la legge, i membri delle minoranze visibili sono le persone di colore: esse contano il 17 per cento nazionale; nel 2031 raggiungeranno il 32 per cento e più del 50 a Toronto e Vancouver. Il primo gruppo etnico non europeo è indo-pakistano, seguito dalla comunità cinese. Si affollano nelle stesse aree: nel 1981 erano presenti sei enclave; oggi il Canada ne custodisce più di 260.
A una ventina di chilometri da Richmond sta Surrey. Il tempio sikh intitolato a Guru Nanak è tra i più maestosi in tutto il nord America, con un programma che copre tutta la giornata. Poco lontano, uomini irsuti e donne dagli abiti color pastello s'affannano per raggiungere negozietti di prodotti tipici del subcontinente indiano, sparsi dappertutto. Nell'area industriale è tutto stilato in hindi o punjabi.


Una delle più estese diaspore indiane al mondo, seconda solo a Londra, è ammassata in questa città che ampiamente deborda oltre i 400 mila residenti. Circa il 25 per cento degli abitanti è originario del subcontinente indiano. Alcuni quartieri sono intensamente monoetnici: a Newton due terzi rimandano visibilmente ai discendenti della civiltà dell'Indo; attorno al Guru Nanak sforiamo la soglia dei tre quarti.

 Per buona parte della sua storia recente, il Canada ha sprangato le porte alle minoranze visibili. Nel 1923 il governo federale arrivò nei fatti a vietare l'accesso al Paese dei cinesi. La British Columbia privò i discendenti di Confucio dei diritti politici e limitò l’esercizio di quelli civili. Nel '28, i permessi d'ingresso per i giapponesi furono ridotti a 150. Dal 1942, pieno secondo conflitto mondiale, gli abitanti originari del Sol Levante furono deportati dalla costa e trasferiti in campi d'internamento.






venerdì 18 gennaio 2013


Contro l'elogio della macellazione tradizionale

La “liturgia” officiata dal sacerdote-fattore, il sangue che bagna la terra, il cerimoniale clandestino, la “sopravvivenza della nostra cultura rurale, di saperi, di credenze e di saperi”, la “resistenza” e “disobbedienza” dell’allevatore alla politica agricola comunitaria, il cui fine ultimo, in fondo, è “l’espunzione dal mercato e dalle terre” dell’agricoltore. Il peana intonato alla macellazione tradizionale del maiale e ai suoi chierici, in un “rito di vita e di morte” che “appartiene alla nostra identità culturale”, “rinsalda le relazioni tra vicini” e la cui “clandestinità rappresenta il paradigma della politica di omologazione di annientamento delle culture locali che violentemente si tenta di estirpare”(Antonio Medici, Il rito clandestino del maiale, B Magazine, 15 gennaio), è vecchio must da apologetica del casereccio.

Come ogni panegirico che si rispetti, si dice il vero, ma pure si perde qualcosa per strada. Gour_man ricorda un po’ gli aficionados della tauromachia. Uno di loro, eminente filosofo e docente di etica, ha scritto che, sì, la corrida è uno spettacolo crudele, ma anche “una rappresentazione del tragico in tutta la sua crudezza con un fondo di rassegnazione trionfante: come la vita stessa […] essa rappresenta un’autentica eccezione culturale, l’anello improbabile e fragile che congiunge un crudo rituale antico con la stilizzazione normativa che la modernità impone agli spettacoli pubblici. Quella che un tempo, nella plaza de toros, è stata una battaglia per la sopravvivenza e in seguito una favolosa battuta di caccia sopravvive oggi trasfigurata in un balletto drammatico, insieme raffinato e brutale, tutelato da un regolamento del quale il pubblico esige una meticolosa applicazione da parte dell’autorità competente. L’ho detto: un caso eccezionale, una cosa mai vista (Fernando Savater, Orazione taurina).

Certo, le liturgie, e in questo le liturgie irrorate di sangue, rinsaldano il senso di comunità, promuovono la convivialità, sono dentro l’identità culturale di una nazione. Ma tutto qui? E’ sufficiente per giustificare? Ogni anno, il 28 gennaio, nel villaggio vietnamita di Nem Thuong ha luogo una cerimonia tradizionale durante la quale un maiale viene brutalmente tagliato in due mentre è del tutto cosciente. Decine di persone accorrono per partecipare alla cerimonia in onore del guardiano Doan Thuong, la loro divinità. Durante il rituale, il suino è trasportato in processione attorno al villaggio, per essere poi collocato a terra a pancia in su. Gli assistenti gli legano gli arti e scoprono il ventre, finché un uomo colpisce l'animale e lo taglia a metà con una grossa lama. A questo punto la folla si precipita attorno alla pozza di sangue, immergendovi le proprie banconote, nella credenza che questo sarà di buon auspicio per l'anno nuovo (Fonte: oipa.org). Qui la folla si fa congrega attraverso lo “stupro”, consacrato alla Tradizione, della bestia. Se è il dato che rileva, allora si legittimi l’abominio.

A Carloforte, in Sardegna, nei mesi di maggio e giugno si svolge la mattanza di tonni rossi. Un rito, una manifestazione tradizionale del tipo dello scannamento del suino accompagnato e amministrato da un celebrante, il Raìs, il direttore. Attraverso un sistema di reti fisse i tonni sono costretti, durante la migrazione in atto per riprodursi, ad entrare in una serie di camere dove transiteranno fino ad arrivare all’ultima, la “camera della morte”, nella quale verranno ammassati per poi essere massacrati. I tonni si dimenano terrorizzati ferendosi l’uno contro l’altro durante la cattura, vengono arpionati in maniera cruenta e trascinati sulle barche circostanti, dove con un coltello viene forato loro il cuore per permettere che le carni rimangano morbide mentre muoiono soffocati, lentamente ( Fonte:Animalequality.it). Dobbiamo santificare l’ammazzatoio più turpe sull’altare della socializzazione e della moltitudine famelica, magari adducendo a pretesto la sterilità dei macelli industriali?

Medici, alla discussione certo pedante sulla liceità dello scannamento suino, probabilmente risponderebbe alla maniera del citato Savater: “Il vero problema sono i milioni e milioni di bestie che alleviamo per farne delle bistecche”. Che è vero ma che nulla toglie all’immoralità dell’atto in sé. La ciccia sta altrove. Alcuni mesi fa, su queste pagine (http://www.sanniopress.it/?p=20984), si scriveva, e lo si può ribadire, che “la storiella giustificazionista della consuetudine è una brutta storia. Sta là, belluina, presto pronta per tutti i porci comodi. […] Il popolo, sì bestiale, si rimpinza di lordura. Si fottano gli “interessi” animali. La Tradizione è la foglia di fico, nulla di più”. Forse è il caso, anno di grazia 2013, di fare qualche passo avanti.

mercoledì 19 dicembre 2012

Grillo nazionale

All'epoca bofonchiava come un Chomsky raccogliticcio. S'occupava d’economia, perché l’economia è il puparo e i politici i suoi pupi . Conseguentemente erudiva che “valgono più le scelte che facciamo al supermercato che quelle che compiamo nell'urna“. Per intanto, afflitto dalla patologia complottista, contrabbandava gran deliri, il metodo antitumori Di Bella, l’Aids “più grande bufala di questo secolo”, “Biowashball”, la palla di plastica che metti nel cestello della lavatrice e rende superfluo l’uso di detersivi.  Oggi Beppe avrebbe scritto per “informare per resistere”, la pagina delle fandonie senza fonte certa.

Qualche anno dopo, col sodale e ideologo Casaleggio, ha messo su quella macchina elettorale che è il MoVimento 5 stelle. Chiaramente s’è scordato i vaneggiamenti dei teatri anni novanta. Non li ha rimossi, li ha stravolti, sennò non si spiegherebbe l’ossessione d'imbucarsi a Montecitorio. Le allucinazioni brillano ancora, e possenti, nel cielo della ditta stanziata alla Casaleggio Associati. Si vagheggia la terza guerra mondiale, “decrescita felice”, signoraggio bancario, Non-Statuto, democrazia digitale-democrazia diretta. All’appello mancano solo le barzellette sulle scie chimiche, quelle che comunque aggradano a certi suoi militanti.

Il nuovo orizzonte culturale dell’ex-saltimbanco fattosi politico Beppe Grillo è in qualche modo filiazione del vecchio. Se possibile, lo deteriora nell'unico dato degno di considerazione. Oggi ciancia di democrazia politica diretta come definitivamente risolutiva, l’inizio della nuova era. E perde di vista, all'interno di una svolta politicista che è tutta elettoralista, la dimensione delle scelte di consumo. Il mercato configura una grande democrazia diretta in cui il cittadino determina in prima persona scelte e modalità di produzione, cosa e come produrre: il voto espresso con la spesa al banco del pesce fomenta la distruzione delle risorse ittiche, l’acquisto alla pompa di benzina sollecita i petrolieri mentre la transazione puttana-cliente promuove l’imputtanimento.  Grillo poteva giocare con il consumo consapevole. Ha scelto di trastullarsi con Casta e minchiate sulla Rete.

mercoledì 24 ottobre 2012

Insegnanti e aspiranti tali






da aciribiceci.com


"Da qualche parte, nei cervelli dei laureati in maniere umanistiche, si è radicata una convinzione quasi inestirpabile: diventare insegnante è un mio diritto. Una delle frasi che più ricorrono nelle conversazioni sgangherate tra colleghi aspiranti insegnanti è: io mi sono laureato in lettere (filosofia, storia, geografia etc) e prima o poi il ministero mi deve fare lavorare. Il ragionamento non sta in piedi. Il ministero non ha bisogno di insegnanti. E non sa più come te lo deve dire. Te lo sta dicendo ininterrottamente da quarant’anni. Se a te piace studiare lettere, studiale. Ma pretendere che il ministero prima o poi ti impieghi come insegnante è più o meno come se tutti quelli che si laureano in scienze politiche pretendessero di essere impiegati alla Farnesina.


Il numero di laureati in discipline umanistiche è semplicemente troppo alto per poter essere assorbito. Non esistono paesi al mondo che abbisognano di tanti umanisti. I paesi abbisognano di ingegneri, economisti, medici. È così in tutto il mondo. E infatti in tutto il mondo le facoltà più frequentate sono quelle di ingegneria, economia, medicina. Solo qui proliferano umanisti e giuristi. Qualcosa è andato storto nel modo in cui abbiamo veicolato storicamente il sapere scientifico. Una certa mentalità ha finito per screditarlo. Quasi come se un ingegnere, un botanico, un agronomo o un fisico non fossero degli intellettuali. Il risultato è stato il boom dell’umanesimo. Che ha per naturale conseguenza il boom della disoccupazione.


Altro punto da valutare riguardo il mestiere dell’insegnante è quanto questo sia stato screditato dagli insegnanti stessi. È stato per decenni e decenni il lavoro part time preferito delle casalinghe emancipatesi a metà (la loro emancipazione consisteva nello sposare un dentista e poi trovarsi un lavoro che gli lasciasse il tempo di spendere i soldi guadagnati dal marito). La miserabilità degli stipendi e la mancanza di un percorso di carriera che tenesse conto del merito (per merito intendo la capacità di stare in aula e insegnare agli studenti) hanno fatto il resto. La cosa inspiegabile, o meglio spiegabile solo con l’arretratezza in cui versa il nostro paese, è come questo mestiere, pur precario, malpagato, socialmente squalificante, faticoso e difficile, continui a rappresentare una chimera per tutte queste persone. La risposta è proprio nell’arretratezza italica. Perché la nostra è una società che continua a vedere il posto “fisso” pubblico (cosa c’è di fisso ormai in un contratto di docenza a sei mesi?) come più prestigioso di un lavoro svolto presso privati. In questo scontiamo una mentalità che continua a remare contro quei pochissimi che vorrebbero fare il mestiere per autentica passione. I soli che potrebbero un giorno risollevarne le sorti".