mercoledì 24 ottobre 2012

Insegnanti e aspiranti tali






da aciribiceci.com


"Da qualche parte, nei cervelli dei laureati in maniere umanistiche, si è radicata una convinzione quasi inestirpabile: diventare insegnante è un mio diritto. Una delle frasi che più ricorrono nelle conversazioni sgangherate tra colleghi aspiranti insegnanti è: io mi sono laureato in lettere (filosofia, storia, geografia etc) e prima o poi il ministero mi deve fare lavorare. Il ragionamento non sta in piedi. Il ministero non ha bisogno di insegnanti. E non sa più come te lo deve dire. Te lo sta dicendo ininterrottamente da quarant’anni. Se a te piace studiare lettere, studiale. Ma pretendere che il ministero prima o poi ti impieghi come insegnante è più o meno come se tutti quelli che si laureano in scienze politiche pretendessero di essere impiegati alla Farnesina.


Il numero di laureati in discipline umanistiche è semplicemente troppo alto per poter essere assorbito. Non esistono paesi al mondo che abbisognano di tanti umanisti. I paesi abbisognano di ingegneri, economisti, medici. È così in tutto il mondo. E infatti in tutto il mondo le facoltà più frequentate sono quelle di ingegneria, economia, medicina. Solo qui proliferano umanisti e giuristi. Qualcosa è andato storto nel modo in cui abbiamo veicolato storicamente il sapere scientifico. Una certa mentalità ha finito per screditarlo. Quasi come se un ingegnere, un botanico, un agronomo o un fisico non fossero degli intellettuali. Il risultato è stato il boom dell’umanesimo. Che ha per naturale conseguenza il boom della disoccupazione.


Altro punto da valutare riguardo il mestiere dell’insegnante è quanto questo sia stato screditato dagli insegnanti stessi. È stato per decenni e decenni il lavoro part time preferito delle casalinghe emancipatesi a metà (la loro emancipazione consisteva nello sposare un dentista e poi trovarsi un lavoro che gli lasciasse il tempo di spendere i soldi guadagnati dal marito). La miserabilità degli stipendi e la mancanza di un percorso di carriera che tenesse conto del merito (per merito intendo la capacità di stare in aula e insegnare agli studenti) hanno fatto il resto. La cosa inspiegabile, o meglio spiegabile solo con l’arretratezza in cui versa il nostro paese, è come questo mestiere, pur precario, malpagato, socialmente squalificante, faticoso e difficile, continui a rappresentare una chimera per tutte queste persone. La risposta è proprio nell’arretratezza italica. Perché la nostra è una società che continua a vedere il posto “fisso” pubblico (cosa c’è di fisso ormai in un contratto di docenza a sei mesi?) come più prestigioso di un lavoro svolto presso privati. In questo scontiamo una mentalità che continua a remare contro quei pochissimi che vorrebbero fare il mestiere per autentica passione. I soli che potrebbero un giorno risollevarne le sorti".
















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